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direttore Antonio De Cristofaro

Pil: Unimpresa, crescita non superiore a 1% in 2017

Scritto da il 2 gennaio 2017 alle 11:03 e archiviato sotto la voce Attualità, Foto, Lavoro. Qualsiasi risposta puo´ essere seguita tramite RSS 2.0. Puoi rispondere o tracciare questa voce

Pil: Unimpresa, crescita non superiore a 1% in 2017

Crescita non superiore all’1% nel 2017 per il prodotto interno lordo italiano. Il prossimo anno, anche se sarà confermata la tendenza alla crescita, resterà caratterizzato da incertezza e l’economia del Paese non subirà auspicate accelerazioni. A pesare sulla lentezza ormai cronica del pil dell’Italia saranno sia fattori esterni sia ragioni interne. Sull’andamento dell’economia italiana incideranno negativamente il quadro congiunturale internazionale incerto, le tensioni politiche in alcune aree del pianeta, i bassi tassi di interesse che non favoriscono la salita dell’inflazione, i consumi stagnanti, la pressione fiscale ancora troppo alta, la difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese aggravata dalla crisi del sistema bancario italiano. E’ quanto emerge da un documento del Centro studi di Unimpresa sulle prospettive dell’economia italiana.

Secondo il Centro studi dell’associazione, i prossimi 12 mesi proseguiranno sulla tendenza del 2016 caratterizzato da un periodo di ripresa assai lenta. Se quest’anno la crescita del pil italiano è attesa attorno allo 0,9%, per il 2017 ci si attende un livello analogo e comunque non superiore all’1%; nel biennio successivo potrebbero essere raggiunti livelli lievemente più alti ovvero dell’1,2-1,4%. In ogni caso, un ritorno di crescita assai più scarso rispetto alla media dell’Unione europea a 28 e dell’area euro.

L’area euro ha beneficiato e beneficerà ancora nel 2017 delle misure straordinarie di politica monetaria adottate dalla Banca centrale europea. In particolare, proseguirà il quantitative easing e il connesso programma di acquisti di titoli di Stato oltre che di obbligazioni emesse da soggetti privati da parte della Bce. Gli effetti positivi finora registrati in particolare sul versante della finanza pubblica, specie per quanto riguarda l’Italia, non sono stati adeguatamente sfruttati per attuare un rigoroso piano volto alla riduzione del debito pubblico. Il basso livello dei tassi di interesse, favorito appunto dalla Bce, ha sensibilmente ridotto il costo delle nuove emissioni di bot e btp. In questo contesto, sarebbe stato auspicabile assistere a interventi per far calare la spesa pubblica. Ciò soprattutto con l’attuazione della spending review e con la lotta agli sprechi che, invece, sembrano essere state accantonate. E’ dunque prevedibile una ulteriore crescita del debito pubblico a un ritmo non inferiore ai 5 miliardi mensili; su base annua, pertanto, il debito potrebbe incrementarsi di circa 60 miliardi.

Anche sul fronte delle banche, le misure della Bce non sono state capaci di imprimere una svolta per la riapertura dei rubinetti del credito. Peraltro, lo stato di salute del settore bancario italiano – che ha imposto al governo la creazione di un fondo emergenziale da 20 miliardi – lascia intravedere un 2017 all’insegna delle ristrutturazioni e degli interventi per evitare crisi sistemiche. Se da un lato la creazione del fondo non era procrastinabile, proprio per gli effetti a catena di eventuali fallimenti di singoli istituti di credito, dall’altro non può non essere sottolineata la necessità di trovare analoghe risorse per abbattere la pressione fiscale soprattutto a carico delle micro, piccole e medie imprese.

Il 2017, dunque, non sarà caratterizzato da una spinta della fiducia soprattutto sul fronte degli imprenditori. Ne deriverà una scarsa propensione agli investimenti con conseguenze che si avvertiranno anzitutto sull’occupazione; peraltro, la riduzione degli incentivi contributivi per le nuove assunzioni non porterà all’aumento di nuovi contratti. Analoghi timori si vanno delineando sul fronte delle famiglie, sempre preoccupate per l’arrivo di nuove tasse e per incrementi tariffari a cui non corrispondono analoghi incrementi dei salari: ne deriva una maggiore propensione al risparmio e una minore spinta ai consumi.

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