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direttore Antonio De Cristofaro

De Nigris: Benevento una, nessuna, centomila?

Scritto da il 5 febbraio 2011 alle 17:39 e archiviato sotto la voce Attualità, Politica. Qualsiasi risposta puo´ essere seguita tramite RSS 2.0. Puoi rispondere o tracciare questa voce

Le imminenti elezioni comunali cominciano ad animare il dibattito sulle opportunità di sviluppo della nostra città. Tra cronici pessimisti e inguaribili ottimisti, tra pragmatici e idealisti ogni governo cittadino si è impegnato per raggiungere questo obiettivo. Uno sforzo lodevole che prescinde dall’appartenenza politica di chi ha governato. Potesse però specchiarsi la nostra città si troverebbe nella stessa situazione di Vitangelo Moscarda, il famoso personaggio del romanzo di Pirandello. Scoprirebbe di non essere “una”, come ha creduto fino ad oggi, ma “centomila”, nel riflesso delle prospettive che gli altri (soprattutto i politici) gli hanno attribuito nel corso degli anni. Scoprirebbe, quindi, di essere: “nessuna”. Isolata, arretrata, familistica, tradizionale, agricola, industriale, archeologica, culturale sono alcuni esempi delle infinite stereotipizzazioni con cui Benevento è stata descritta nel corso degli anni. Ciò ha costretto i suoi abitanti a cambiare atteggiamento per adattarsi alle opportunità del momento per non incorrere in una crisi d’identità o ad un disancoraggio dalla realtà. Rappresentarla come una città dalle tante possibilità di sviluppo (ogni periodo ha avuto il suo sogno) non è però bastato a risolvere il problema che da sempre l’ha ossessionata: la creazione di nuovi posti di lavoro. Un problema comune a tante città che impone di percorrere nuove strade e sperimentare nuove opportunità perchè proprio dalle città (almeno questa è una delle tesi condivise) passa la speranza di rilanciare l’economia nel nostro Paese. Si tratta dunque di mettere in atto interventi che trasformano radicalmente la quotidianità cittadina confrontandosi innanzitutto con le forze disponibili. Raccordandosi con il protagonismo dei cittadini, incontrando i tessuti relazionali e i diversi vissuti e culture. Un’interazione e interrogazione reciproca per mettere in gioco potenzialità e desideri, conoscenze e competenze. Una mobilitazione di energie e passioni indispensabili per una cittadinanza attiva e influente. Senza questa liberazione di energie sociali (antagoniste e protagoniste) ogni strategia di sviluppo rischia di arenarsi nell’ennesimo programma di mandato elaborato in solitudine o in piccoli ed angusti luoghi che propongono cure senza però conoscere ne il malato ne la malattia. Al contrario, programmi che propongono di trasformare radicalmente una città devono essere ampiamente partecipati. Realizzati con iniziative di ascolto. Concertarti con gruppi, associazioni, comitati e singoli cittadini per capire cosa si è disposti a cedere della precedente identità o come coniugare, o far coesistere, le precedenti vocazioni (culturali, storiche, artistiche, archeologiche) con i nuovi impatti. La “trasformazione” di una città, non solo spaziale, non può essere calata dall’alto o legata a singoli provvedimenti amministrativi o nell’allocazione di importanti risorse finanziarie. E’ molto di più! Il grande progetto di sviluppo deve essere soprattutto sostenuto dall’emancipazione del substrato comportamentale di ogni abitante. Deve far maturare nei cittadini l’autocoscienza (e l’orgoglio) che la loro città possiede una specifica competenza. Non possiamo, ogni cinque anni, ad ogni mandato amministrativo, essere la città della cultura, della storia, dell’archeologia, dell’arte, dei servizi o della logistica. La nostra città correrebbe il rischio di continuare ad essere: UNA, NESSUNA, CENTOMILA.

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